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Vaughan Turekian: il potere positivo di scienza e diplomazia

Vaughan Turekian: il potere positivo di scienza e diplomazia

Usando la conoscenza scientifica per orientare la classe politica nelle scelte globali, anche nazioni di modeste dimensioni possono far sentire la propria voce a livello internazionale, dice Vaughan C. Turekian, Chief International Officer dell'American Association for the Advancement of Science (AAAS).

L’intersezione fra scienza e diplomazia sta assumendo sempre più un ruolo di primo piano nei paesi industrializzati, dacché coinvolge problematiche diverse ma di interesse comune quali cambiamenti climatici, salute, alimentazione e ricerche di base come, per esempio, quelle che hanno portato alla recente scoperta del bosone di Higgs. Tuttavia, anche nazioni di modeste dimensioni, ancora in una fase embrionale del loro sviluppo scientifico, possono servirsi di scienza e diplomazia per partecipare alle politiche mondiali e far sentire la propria voce su temi di interesse internazionale, assistendo la classe politica e i governi su questioni urgenti di carattere scientifico.

A esprimersi cosi è Vaughan Turekian, esperto di scienza e diplomazia della AAAS, dove è anche direttore del Center for Science Diplomacy e direttore della rivista Science & Diplomacy, un quadrimestrale open access pubblicato dalla AAAS. Turekian ha acquisito una considerevole esperienza nel settore, affrontando temi legati alla tutela dell’ambiente, alla salute e alle politiche della scienza, ed è stato consigliere speciale del sottosegretario di stato per gli affari internazionali in America.

Quest’anno Turekian tornerà a Trieste, dall’8 al 13 giugno, come co-organizzatore del corso TWAS-AAAS su scienza e diplomazia. L’evento si inserisce in una serie di iniziative congiunte, avviate nel 2011 dalle due organizzazioni nel settore scienza e diplomazia. Il corso fornirà ai partecipanti gli strumenti per affrontare con spirito critico temi legati alle politiche della scienza, ma anche a tecnologia, ambiente e salute. Durante le lezioni si discuterà dell’impatto e del ruolo che consiglieri scientifici preparati possono avere nel modulare azioni politiche a livello internazionale, contribuendo a mantenere un dialogo aperto e pacifico fra paesi.

Durante la sua precedente visita a Trieste, Turekian era intervenuto al workshop “Politiche innovative per lo sviluppo sostenibile”, organizzato da TWAS-AAAS, cui avevano partecipato circa 20 studenti provenienti da paesi in via di sviluppo, assieme a esperti qualificati del settore. In quell’occasione, Turekian aveva sottolineato l’importanza di usare le competenze di esperti scientifici nel mondo della diplomazia e della politica, auspicando il regolare inserimento di simili figure nelle agende internazionali, in particolare nei paesi in via di sviluppo.

In una recente intervista rilasciata a Cristina Serra, del Public Information Office della TWAS, Turekian ha spiegato in che modo una nazione, per quanto piccola e relativamente poco sviluppata, possa giocare un ruolo di primo piano a livello internazionale utilizzando la scienza come strumento di diplomazia.

L’uso di scienza e diplomazia si sta diffondendo e sta diventando importante nelle politiche internazionali. Qual è il primo esempio in cui la scienza è stata usata per risolvere controversie internazionali?

Da molti anni la scienza ha messo piede, a buon diritto, sul palcoscenico della diplomazia internazionale. Negli Stati Uniti, il primo episodio in cui scienza e diplomazia si sono intersecate risale agli anni ’60 e riguarda il Giappone. Dobbiamo però fare un passo indietro, e tornare alla fine degli anni ’50 quando Edwin O. Reischauer, professore alla Harvard University ed esperto di questioni giapponesi, scrisse un articolo che fu pubblicato da Foreign Affairs, blasonata rivista di politica internazionale. Nel suo articolo, Reischauer sollecitava gli Stati Uniti a “ricucire il dialogo interrotto con il Giappone”. Qualche tempo dopo, divenuto ambasciatore americano, si recò a Tokyo, durante la presidenza Kennedy. Il suo lavoro fu di fondamentale importanza, perché  preparò la strada agli sviluppi futuri. Quando il primo ministro giapponese Hayato Ikeda si recò in visita a Washington, per incontrare il presidente J.F. Kennedy, nel 1961, sul tavolo di lavoro c’era già un obiettivo chiaro: capire come creare una solida relazione tra i due paesi e tra le due società. Credo che questo sia davvero il primo esempio di uso politico della scienza. Il risultato dell’incontro fu che i due paesi incominciarono a costruire una relazione basata sulla scienza che prevedeva, tra l’altro, la realizzazione di uffici scientifici sia negli Stati Uniti che in Giappone.

In che modo si è evoluto l’uso di scienza e diplomazia nel corso dei decenni? C’è stato un adeguamento alle nuove dinamiche mondiali in rapido cambiamento?

Dagli anni ’60 agli anni ’90 gli equilibri politici erano fortemente polarizzati, divisi fra le due superpotenze americana e russa che si fronteggiavano in modo molto competitivo in ambiti diversi, in particolare nelle ricerche spaziali. Tuttavia, è proprio lì che è nata la collaborazione scientifica fra i due paesi, in particolare dopo che il presidente americano Ronald Regan si è  espresso a favore dell’uso pacifico di scienza e salute sui tavoli diplomatici, ipotizzando che su questi due temi ci potessero essere punti di incontro fra le superpotenze e la creazione di rapporti bilaterali. Durante gli anni della guerra fredda, comunque, gli scienziati di entrambe le potenze non cessarono di rimanere in contatto, anzi, affrontarono spesso temi legati alla sicurezza, acquisendo una migliore conoscenza sulle reali capacità dei loro colleghi. Il loro ruolo è stato davvero importante. Oggi il mondo non è più così polarizzato e le rivalità non sono più così marcate, sebbene non siano assenti. In questo nuovo contesto, il ruolo degli scienziati è più che mai importante.

Per ottenere risultati di rilievo, chi si occupa di scienza e diplomazia deve seguire qualche protocollo specifico o è ammesso un certo grado di flessibilità nell’affrontare le diverse situazioni?

L’elemento principale che consente di ottenere risultati apprezzabili sono gli scienziati: scienziati che accettino di essere coinvolti in attività non strettamente scientifiche che potrebbero comportare anche qualche rischio. Servono scienziati che siano pronti a instaurare una comunicazione che, a volte, può anche essere difficile o del tutto assente. A livello internazionale, l’impresa scientifica è portata avanti da scienziati motivati, il cui interesse principale è confrontarsi con colleghi altrettanto motivati e desiderosi di affrontare temi interessanti, questioni anche spinose, ma altrettanto desiderosi di ottenere buoni risultati. Quando però giunge il momento di spostarsi dal piano strettamente scientifico al piano diplomatico e alla politica internazionale, è lì che devono intervenire i governi e le organizzazioni come la TWAS e la AAAS, dimostrando la propria capacità di costruire ponti fra paesi utilizzando la scienza.

Che influenza possono avere un paese di piccole dimensioni, o un paese in via di sviluppo, nel settore scienza e diplomazia, dal momento che spesso non dispongono di risorse finanziarie significative, hanno poco peso politico e spesso anche pochi ricercatori?

È una domanda più che giusta, e parte della risposta chiama in causa organizzazioni come la TWAS. La TWAS è un’accademia in grado di fornire a scienziati di paesi in via di sviluppo opportunità di interazione con colleghi stranieri, in paesi stranieri. Il suo ruolo è proprio quello di creare legami internazionali mettendosi in gioco in prima persona sulla scienza internazionale, a nome di tutti quegli scienziati e istituti che partono svantaggiati. Organismi come la TWAS possono anche favorire l’instaurarsi di nuovi rapporti di collaborazione fra scienziati e politici, a livello internazionale. Per quanto riguarda il ruolo che piccoli paesi possono avere, cito sempre il caso della Nuova Zelanda, nazione molto attiva nell’usare la scienza per proiettare all’esterno la propria influenza. La Nuova Zelanda non possiede task force diplomatiche in altri paesi del mondo. Tuttavia, molti dei suoi scienziati lavorano all’estero e in questo modo creano un network consistente, una rappresentanza che fa sentire la propria voce anche in paesi stranieri, sia sviluppati che in via di sviluppo. È un modo molto efficace di usare la scienza a fini diplomatici, perché questi scienziati concorrono a creare un legame fra il loro paese e il resto del mondo.

C’è qualche intervento  di successo, nel settore scienza e diplomazia, che riguardi invece un paese in via di sviluppo?

Il successo può assumere molte forme. La cooperazione scientifica fra Stati Uniti e Cuba rappresenta un esempio di intervento dove la collaborazione bilaterale si è resa più che mai necessaria e proficua, nonostante le difficoltà che i due paesi incontravano sul piano politico. Cuba e gli Stati Uniti sono riusciti a collaborare nel settore delle scienze del mare, in biologia marina, dunque su un territorio che era di strategica importanza per entrambi. Ma ci sono anche altri ambiti dove la mutua collaborazione è possibile: nelle scienze atmosferiche, per esempio, nella prevenzione dei danni da disastri naturali come tsunami o uragani.

L’intreccio fra scienza e diplomazia potrebbe essere usato a sproposito, per esempio, per esercitare influenza su un paese o soggiogarlo da diversi punti di vista?

Se scienza e diplomazia vengono esercitate correttamente, la risultante è efficace e rappresenta un successo per entrambe le parti: diventa un’autentica collaborazione alla pari, che le parti portano avanti nel reciproco interesse, cercando di trovare punti di incontro. Se questi requisiti sono soddisfatti, entrambi gli attori ne traggono beneficio. Un buon esempio è la collaborazione scientifica fra USA e Cuba, che si è concretizzata in un articolo congiunto pubblicato dalla rivista Oceanology. In questo lavoro, gli scienziati non affrontano solo temi strettamente scientifici ma prendono in considerazione anche le barriere politiche che limitano la ricerca e le possibili strategie per superare tali barriere.

Le nazioni sviluppate usano scienza e diplomazia in modo diverso rispetto ai paesi in via di sviluppo?

L’uso di scienza e diplomazia si sta diffondendo sempre più e sono ormai molti i paesi che stanno investendo in questo settore. Per quanto riguarda i paesi in via di sviluppo, mi sembra che si possano individuare tre direttrici lungo le quali viene declinato l’uso di scienza e diplomazia:

  1. scienza e conoscenza scientifica trovano un impiego nella diplomazia più tradizionale, quella che costruisce relazioni, diplomazia e sicurezza;
  2. la scienza trova un suo ruolo nel commercio e nello sviluppo economico;
  3. la scienza gioca una parte consistente nello sviluppo dei paesi e nel modellare le politiche di sviluppo nazionali.

Spesso, tuttavia (e questo è un problema che riguarda soprattutto i paesi meno sviluppati), manca la capacità di investire in scienza e tecnologia di elevato livello, nelle scienze informatiche e nelle tecnologie della comunicazione. Per questo molti paesi non riescono a risalire la china. C’è però un modo in cui essi potrebbero riguadagnare una posizione di rilievo: ed è attraendo entro i loro confini scienziati di fama e con esperienza, contrastando quel brain drain che non risparmia nessun paese. Alcuni paesi in via di sviluppo stanno orientandosi in tal senso, e la TWAS è sicuramente un loro alleato.

Quali sono i settori in cui scienza e diplomazia possono risultare più utili: medicina, scienze della terra, altri?

Ci sono molti ambiti in cui gli interventi di scienza e diplomazia risultano opportuni, per esempio nel settore delle grandi infrastrutture. Organizzazioni come SESAME (Synchrotron-light for Experimental Science and Applications in the Middle East), il CERN (European Organization for Nuclear Research) e l'ICTP (Centro di Fisica teorica Abdus Salam) di Trieste possiedono infrastrutture costruite attorno a una scienza di elevato livello. Un secondo settore include temi che potremmo definire “transfrontalieri”, la cui importanza deriva dal fatto che possono coinvolgere priorità locali, importanti per i singoli paesi ma non solo: inquinamento dell’aria, conservazione della biodiversità e altri ancora. A volte, invece, si tratta di temi più politici, ma che richiedono competenze scientifiche specifiche. Penso per esempio alla tutela delle regioni montane africane dove vivono gli ultimi gorilla, regioni che abbracciano diverse nazioni.

Medicina e salute sono temi importanti per il dialogo tra scienza e diplomazia?

Certamente, e possiamo fare molti esempi. Uno, in particolare, riguarda le malattie non comunicabili. Immaginiamo che il paese A ospiti un gran numero di cittadini provenienti dal paese B. E immaginiamo che i cittadini del paese B mostrino un’elevata incidenza di una particolare malattia. A questo punto, sarebbe auspicabile che fra i governi del paese A e B si instaurasse una collaborazione trasparente volta a definire se la malattia sia prevalentemente di origine genetica o piuttosto ambientale. Sarebbe un grande esempio di scienza per la diplomazia.

La TWAS e l’AAAS hanno sottoscritto un accordo di cooperazione su scienza e diplomazia che intende formare esperti in questo settore. Il prossimo giugno, la TWAS ospiterà un corso estivo per trattare in modo esaustivo queste problematiche. Quali risultati possiamo attenderci dall’iniziativa?

Il corso estivo è un eccellente esempio di come la TWAS aiuti gli scienziati dei paesi in via di sviluppo a trovare opportunità di lavoro e cooperazione. La TWAS mette a disposizione le risorse finanziarie e organizza le logistiche affinché scienziati provenienti da paesi in via di sviluppo entrino in contratto con decisori politici e ministri, per esempio. In questo modo le singole comunità si ampliano e c’è uno scambio proficuo di saperi. Credo che ci si possano attendere almeno tre risultati di rilievo. Connettendo scienza e diplomazia, le due organizzazioni ampliano ulteriormente il loro network scientifico: la AAAS principalmente negli Stati Uniti, la TWAS soprattutto nel sud del mondo. Il secondo risultato è quello di fornire a scienziati provenienti da paesi emergenti la possibilità di costruire la propria rete scientifica internazionale, non solo con altri colleghi di paesi in via di sviluppo, ma con scienziati e politici di paesi sviluppati. Il terzo risultato che mi sembra ci si possa attendere riguarda l’opportunità che TWAS e AAAS hanno di acquisire ulteriori conoscenze sul modo in cui scienza e politica si intrecciano, ovunque nel mondo, e su come questo influisca a livello nazionale. Insieme, questi tre risultati potranno orientare ancor meglio le due organizzazioni nella scelta di attività future che si traducano in misure concrete di aiuto per le comunità meno forti.